- SCELTA DELLA REDAZIONE
- 2020 · 3 tracce · 30 min
Concerto per pianoforte nº 2 in si bemolle maggiore
Quando Beethoven propose di pubblicare questo concerto nel dicembre del 1800, lo descrisse sbrigativamente come uno dei suoi primi lavori e non tra i migliori. Iniziò a comporlo alla fine degli anni ’80 del ‘700, quando era ancora un adolescente e viveva a Bonn, per poi tornarci sopra più volte, riscrivendolo ampiamente. Faticò a trovare una versione finale che lo soddisfacesse appieno e quella che conosciamo oggi fu ultimata nel 1798, anche se la maggior parte fu concepita prima del Concerto per pianoforte n. 1. Fu perciò designato come Concerto n. 2 semplicemente perché pubblicato successivamente. Caratterizzato da una sobrietà di fondo e da un ridotto coinvolgimento di strumenti (senza clarinetti, trombe o tamburi), è il più mozartiano dei cinque concerti per piano, anche se vari elementi testimoniano l’unicità del suo ideatore: ad esempio, il passaggio al re bemolle per il secondo tema dell’apertura orchestrale rappresentava uno stratagemma assolutamente inedito. Come per il Concerto n. 1, Beethoven improvvisò la cadenza e infine nel 1809 ne trascrisse una, motivo per cui lo stile e la maggiore ampiezza della tastiera si legano a malapena con il resto dell’opera. Anche i due movimenti successivi seguono lo stesso schema del primo componimento: una parte lenta e di largo respiro precede un finale scanzonato, ricco di comici giochi ritmici e armonici e, verso la fine, un breve approdo nella tonalità “sbagliata” di sol maggiore.